mercoledì 7 maggio 2014

G. Rodari: Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura

 
 
Gianni Rodari scriveva nel 1964 un articolo in 9 parti provocatoriamente dedicate ad altrettanti metodi per far odiare la lettura ai bambini e ai ragazzi. Il suo era naturalmente un modo per cercare piuttosto un antidoto a questo male e trasformare la lettura, da applicazione ostile, disciplina scolastica imposta, in una passione autentica, personale e vitale. Proverò, servendomi delle stesse parole del 'maestro' di sintetizzarvi il suo pensiero, raccogliendo in particolare le testimonianze più attuali del suo articolo.
 
1 - Presentare il libro come una alternativa alla Tv
2 - Presentare il libro come una alternativa al fumetto
3 - Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più
4 - Ritenere che i bambini abbiamo troppe distrazioni
5 - Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura
6 - Trasformare il libro in uno strumento di tortura
7 - Rifiutarsi di leggere al bambino
8 - Non offrire una scelta sufficiente
9 - Ordinare di leggere
 
1 - Presentare il libro come una alternativa alla Tv
"Leggi, invece di guardare la televisione". "Se non ti vedo leggere vendo la televisione". "Prendi i libri di scuola, invece di perdere tempo con quelle stupidate".
Non pretendo di conoscere tutte le espressioni particolari usate dai sostenitori di questo sistema quasi infallibile. I bambini sanno che la tv non è una "stupidata": la trovano divertente, piacevole, utile. Può darsi che le sacrifichino qualche ora più del necessario, può darsi che si riducano talvolta in quello stato di semi-incoscienza nel quale il telespettatore abituale, bambino e adulto, casca dopo qualche tempo, e di cui è sintomo la totale passività con cui accetta dal teleschermo, senza scegliere e senza reagire, qualsiasi programma [...] Psicologicamente poi, non mi pare che negare un divertimento, un'occupazione piacevole (o sentita come tale, che è lo stesso) sia il modo ideale di farne amare un'altra: sarà piuttosto il modo di gettare su quest'altra un'ombra di fastidio e di castigo.
 
2 - Presentare il libro come una alternativa al fumetto
La tecnica di applicazione di questo sistema ricalca quella accennata alla voce precedente. "Ti brucerò tutti i giornalini, se non ti vedo leggere". "Cinque in lingua, eh? Da domani niente più giornalini". Eccetera.
Proibire, proibire anche in questo caso, non serve a nulla. Vale poi la pena di proibire? Si è tanto discusso sui fumetti che ormai spezzare una mezza lancia in loro favore equivarrebbe a sfondare un portone spalancato [...] Conosco filosofi che almeno una volta la settimana leggono un libro giallo. Eppure non si può mettere in dubbio che la loro passione dominante sia la filosofia. Conosco ragazzi che leggono molto e coltivano, con la mano sinistra, anche l'orticello dei fumetti. Ciò vuol dire, secondo me, che non c'è rapporto di causa ed effetto tra la passione per i fumetti e l'assenza d'interesse per le buone letture. Questo interesse evidentemente deve nascere da qualche altra parte, dove le radici dei fumetti non arrivano.
 
3 - Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più
L'adulto ha spesso la tentazione (e raramente vi resiste) di lodare "i suoi tempi", specie quelli di quand'era bambino, che la memoria gli dipinge di vivaci colori e gli presenta come una stagione ideale. La memoria è un'adulatrice e imbrogliona di prima forza, ma è difficile rendersene conto [...] "Una volta si leggeva di piú". Una volta quando? Cent'anni fa, quando sessanta italiani su cento non sapevano leggere? Venti anni fa, quando avevamo ancora una decina di milioni di analfabeti? Chi leggeva di più? Quanti erano? Forse leggevano i ragazzi della buona borghesia, o piuttosto alcuni di loro: una piccola minoranza di una minoranza [...] "Una volta c'erano dei bei libri per i bambini". Per quali bambini? Siamo sempre lí. Così succede che degli ottimi genitori regalano il Cuore ai loro figlioli, e si stupiscono di non vederli tutto il giorno con gli occhi rossi e gonfi di pianto. O regalano il Giornalino di Gianburrasca e si meravigliano perché i loro figlioli non si divertono più. Non si può chiedere ai ragazzi di amare il passato, un passato che non è il loro: e quando si ottiene di far identificare i libri col passato altrui, come cosa che non fa parte della loro vita, ma che bisogna ficcarci dentro "per far piacere a papà e mamma", s’è creato un motivo di più perché i ragazzi, appena possono, si tengano lontano dai libri.

4 - Ritenere che i bambini abbiamo troppe distrazioni
"I bambini di oggi hanno troppe distrazioni, ecco perché leggono poco". Mettersi da questo punto di vista è indispensabile per chi non voglia capirne nulla dei bambini di oggi, e proponga tra l'altro di non riuscire a farli diventare amici dei libri.
Uno dei drammi dell'infanzia d'oggi (e non solo dell'infanzia) riguarda appunto l'organizzazione del tempo libero. Quello che noi chiamiamo "tempo libero", se non ha un'adeguata organizzazione, non è che "tempo vuoto", tempo sprecato. Pensiamo alle nostre città, dove non ci sono spazi per giocare, non ci sono teatri per bambini, non ci sono biblioteche, e cosi via. Pensiamo alle nostre case cittadine, dove non c'è posto per la stanza dei bambini. Pensiamo alle campagne, dove il bambino o vagabonda per i prati (beato lui), o viene messo precocemente al lavoro. [...] Insomma, piú distrazioni e piú libri. È possibile? Non è possibile: è un fatto. E questo non dipende dal numero e dalla qualità delle distrazioni (ossia delle occupazioni piú libere, e perciò piú amate, e perciò piú ricche di efficacia educativa). Dipende dal posto che il libro ha nella vita del paese, della società, della famiglia, della scuola.

5 - Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura
Questo non è propriamente un sistema: è un atteggiamento generale, che però ha l'importanza e l'efficacia del sistema. Dare la colpa ai bambini, oltre che facile, è comodissimo, perché serve a coprire le colpe proprie.
Riconosciamo, rovesciando in parte un ragionamento precedente, che i bambini non leggono abbastanza, che le tirature potrebbero essere maggiori, che il boom del libro per ragazzi è ancora di là da venire. Se cerchiamo dei perché un po' meno comodi dell'accusa prepotente che si rivolge ai bambini, troviamo colpe di genitori: vi sono troppe case in cui non entra mai un libro, vi sono migliaia di laureati senza biblioteca, ci sono tanti padri che non leggono nemmeno il giornale, e poi si meravigliano se i figli fanno come loro. Vi sono colpe pubbliche: della scuola e dello Stato; e vi sono le colpe della nostra cultura, sempre troppo aristocratica per porsi dei compiti pedagogici. Leggiamo sui giornali brillanti articoli di brillanti e colti personaggi che deridono il pubblico che compra a dispense la Divina Commedia, o una delle tante enciclopedie a puntate. Forse rimpiangono il tempo in cui a puntate si compravano solo i romanzi di Carolina Invernizio.
In America, in Inghilterra, in Russia, i professori universitari non disdegnano di scrivere opere di divulgazione scientifica rivolte ai ragazzi: da noi i divulgatori di qualità si contano ancora su mezza mano.
Piú in generale, non c'è una presa di coscienza collettiva della società adulta nei confronti della società infantile. Nel campo dell'editoria per ragazzi il criterio commerciale prevale tutt'ora sul criterio pedagogico: esiste quasi un collegamento tra le punte avanzate della pedagogia e gli editori, per i quali "educativo" è generalmente ancora sinonimo di "noioso".
Accusato come il solo responsabile d'una situazione complessa, e ancor piú complicata dalla crisi degli ideali educativi fino a ieri pacificamente accettati, il bambino reagisce come può: scappando in cortile a giocare, o nascondendo sotto il cuscino il suo caro albo a fumetti.

6 - Trasformare il libro in uno strumento di tortura
Questo sistema, a dispetto del rinnovamento didattico e delle belle parole, trova intensa applicazione nelle scuole d'ogni ordine e grado. Gli esperti cominciano a servirsene fin dalla prima elementare, assegnando ai bambini per compito di copiare pagine su pagine del loro primo libro di lettura. In seconda al lavoro di copiatura (che per il bambino non ha il minimo senso e non una briciola di interesse) si può aggiungere il lavoro di divisione in sillabe. Sai che divertimento. Col tempo, arriva l'analisi grammaticale, poi fa il suo ingresso trionfale l'analisi logica. Prendete un bel raccontino di Tolstoj, condannate uno scolaretto ad analizzare nomi e pronomi, verbi e avverbi, e vi dò per certo che, vita natural durante, egli associerà il nome di Tolstoj a una viscerale sensazione di fastidio che lo terrà lontano da Anna Karenina come dalla peste e gli farà schivare Guerra e pace come schiverebbe un nugolo di tafani.
La trasformazione del libro in uno strumento di fatica prosegue e s'intensifica attraverso le varie fasi del riassumere, del mandare a memoria, del descrivere le illustrazioni, ecc. Tutti questi esercizi moltiplicano le difficoltà della lettura, anziché agevolarle, fanno del libro un pretesto togliendogli ogni capacità di divertire, se originariamente ne possedeva, di commuovere se ne era capace, d'interessare se era concepito per interessare.
La lettura non è piú un fine da perseguire lodevolmente, ma un mezzo per attività piú serie, o presunte tali. Ciò corrisponde perfettamente alla concezione del bambino come mezzo: sia il fine il voto, la pagella, I'addestramento alla pazienza, la preparazione alla vita. Chissà quale preparazione a quale vita: presumibilmente alla vita concepita come una sofferenza, per la quale bisogna essere allenati. Il libro che entra nella scuola sotto lo schema del rendimento scolastico produce riflessi meramente scolastici: non diventa la cosa bella e buona, di cui si ha bisogno, ma la cosa che serve al maestro per esprimere un giudizio. La scuola come tribunale, anziché come vita. Cosí è esclusa la difficoltà principale, cioè quella di far nascere il bisogno della lettura, che è un bisogno culturale, non un istinto, come mangiare bere e dormire, non una cosa della natura.

7 - Rifiutarsi di leggere al bambino
La voce della madre, del padre (e del maestro) ha una funzione insostituibile. Tutti obbediamo a questa legge, senza saperlo, quando raccontiamo una favola al bambino che ancora non sa leggere, creando, per mezzo della favola, quel "lessico familiare" nel quale l'intimità, la confidenza, la comunione tra padri e figli s'esprimono in modo unico e irripetibile. Ma quanti hanno la pazienza di leggere una favola ai figlioli, magari anche quando già sanno leggere da soli, o saprebbero ma sono pigri per farlo, o lo fanno abitualmente, ma pure hanno bisogno, di quando in quando, di non essere soli con la favola?
La favola scritta è già il mondo: non è più "lessico familiare", è contatto con una realtà più vasta, conosciuta attraverso la fantasia, che nei bambini è come il terzo occhio.
Si tratti delle novelle di Andersen o della vita degli insetti, di Pinocchio o di Verne, e magari, eccezionalmente, di Paperino e Paperon de' Paperoni, quel che conta nella lettura comune non muta la sostanza: è la promozione del libro da mero oggetto di carta stampata a intermediario affettuoso, a momento della vita.
Ci vuol pazienza, per questo. Ci vuole anche abilità: bisogna saper leggere con espressione, o sforzarsi di farlo; bisogna anche saper tradurre, perché non sempre il vocabolario scritto corrisponde a quello d'una perfetta lettura, e non sempre gli scrittori scrivono chiaro, o pensano al lettore prima d'adoperare un termine inconsueto, una parola aulica, un vezzo letterario fine a se stesso.

8 - Non offrire una scelta sufficiente
Noi non leggiamo il primo libro che ci capita per le mani. Ci piace scegliere. Raramente, invece, al bambino è offerta una scelta sufficiente. Gli regaliamo un libro di favole, lo mette da parte: ne concludiamo che non gli piacciono le favole, mentre può darsi che in quel periodo abbia semplicemente altri interessi. Ecco perché la bibliotechina, personale o collettiva, è indispensabile. Venti libri sono meglio di uno, e cento meglio di venti, perché possono suscitare curiosità diverse, appagare o stimolare interessi diversi, rispondere ai mutamenti di umore, alle svolte della personalità, della formazione culturale, della informazione.
S'intende che dietro una bibliotechina ci deve essere un delicato lavoro di aggiornamento, una riflessione attenta, una sensibilità vigile. Non si ottiene niente per niente, né dalla natura né dai bambini. Ma qui entrerei, senza volerlo, nella serie delle indicazioni dette positive, mentre mi sono assunto il compito di elencare alcuni metodi negativi (nella speranza, certo, che l'elencazione stessa suggerisca qualche antidoto).

9 - Ordinare di leggere
Il nocciolo di questo sistema è già presente in altri ai quali ho accennato in precedenza. Esso è però tanto importante che merita una trattazione a parte. È indubbiamente il più efficace, se si vuole che i ragazzi imparino a odiare i libri. Sicuro al cento per cento. Facilissimo da applicare.
Si prende un ragazzo, si prende un libro, li si mettono entrambi a tavolino e si proibisce che il terzetto si divida prima d'una certa ora. A maggior garanzia che l'operazione riesca,si annunzia al ragazzo che al termine del tempo prescritto dovrà riassumere a voce le pagine lette. Le applicazioni scolastiche sono anche più semplici. Non c'è che da dire: "Leggete da qui fin qui", e l'ordine sarà senz'altro eseguito, anche con la complicità dei genitori.
Sia dall'uno che dall'altro esperimento il ragazzo ricaverà per suo conto una lezione che non dimenticherà: e cioè, che leggere è una di quelle cose che bisogna fare perché i grandi la comandano, uno di quei mali inevitabili, collegati con l'esercizio dell'autorità da parte degli adulti. Ma appena saremo grandi anche noi, appena saremo adulti a nostra volta, appena saremo liberi...
A giudicare a posteriori, cioè dal numero degli adulti legalmente alfabetizzati che, una volta usciti dalla minore età, non leggono più un rigo, questo dev'essere, di tutti i sistemi, il più diffuso.
Da qualche centinaio d'anni i pedagogisti vanno ripetendo che come non si può ordinare a un albero di fiorire, se non è la sua stagione, se non sono state create le condizioni adatte, così non si può ottenere alcunché dai bambini per la strada larga dell'obbligo, ma bisogna per forza cercare strade meno agevoli, sentieri meno comodi. Ma i pedagogisti predicano, e il mondo va per la sua strada. Il disprezzo per la teoria è antico quanto il proverbio secondo il quale "Val più la pratica che la grammatica".
Parole come "disciplina", "severità" (che è la caricatura della fermezza) e simili, hanno corso tuttora come moneta buona, nonostante la progressiva svalutazione. La scienza del "creare condizioni" perché la pianta umana voglia ciò che deve, e accetti, anzi, senza desideri, l'innesto della cultura, e abbia bisogno del meglio, e dia insomma tutti i frutti che può dare, è nella pratica ancora ai primi passi. Una tecnica si può imparare a scapaccioni: così la tecnica della lettura. Ma l'amore per la lettura non è una tecnica, è qualcosa assai di più interiore legato alla vita, e a scapaccioni (veri o metaforici) non s'impara.
 
9 modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura (ottobre 1964 nel "Giornale dei Genitori" poi nel volume Scuola di fantasia, 1992); cfr. R. Denti, "Come far leggere i bambini", Editori Riuniti, Roma, 1982